“L’Inno svelato”, chiacchierata assai briosa su “Il canto degli italiani” con il prof. Michele D’Andrea

Come consuetudine, le associazioni che si richiamano al Risorgimento, Sezione ANVRG di Ravenna, Società Conservatrice del Capanno Garibaldi ed Associazione Mazziniana Italiana, organizzano ogni anno una iniziativa in ricordo della proclamazione della Repubblica Romana. Sabato 8 febbraio 2020, presso l’Aula Magna della Casa Matha, tali associazioni hanno organizzato una conferenza dedicata all’inno di Mameli, il giovane garibaldino che morì per le ferite riportate nella difesa della Repubblica Romana.

L’inno svelato” è stato il titolo della conferenza, quasi una lezione-spettacolo, supportata da immagini video e brani musicali, che il prof. Michele D’Andrea, già Consigliere della Presidenza della Repubblica, esperto di storia, musica e nel settore della comunicazione istituzionale, ha tenuto di fronte ad un folto pubblico, oltre cento persone. E’ stata una passeggiata a ritroso nel tempo, tra le pieghe della storia ufficiale, con al centro della narrazione “Il canto degli italiani”, l’Inno di Mameli, attorno al quale ruotano curiosità ed aneddoti che ne hanno accompagnato la nascita, il successo, il significato e l’attuale percezione.

Con questa iniziativa nel ricordo della Repubblica Romana, abbiamo celebrato il “Canto degli Italiani”, l’appassionante storia dell’inno nazionale italiano, che fa parte della grande storia degli uomini che con coraggio ed eroismo fecero l’Italia. Un inno scritto di getto, spontaneo, composto da un giovanissimo combattente per la libertà, Goffredo Mameli, senz’altro adatto a simboleggiare la giovane Italia rivoluzionaria, il fervore patriottico di quel tempo. Gli stessi ideali che troviamo nella Costituzione repubblicana che l’Italia si è data dopo aver riconquistato la libertà con la Resistenza.

Non è mancato il confronto con gli inni di altri paesi, musiche in fotocopie e testi improbabili. Molti inni non hanno un autore ben preciso, ma sono frutto di diversi arrangiamenti e le trasformazioni delle melodie vengono poi utilizzate da altre nazioni. D’Andrea si è soffermato sulla “Marsigliese”, forse l’inno più famoso e suonato, la cui musica pare copiata. Una disputa ancora in atto per la somiglianza con la melodia creata da un italiano, G. B. Viotti, musicista a Parigi, che aveva creato lo spartito della musica, inconsapevole che dopo qualche anno sarebbe stato trasformato in un inno rivoluzionario.

Il prof. D’Andrea ha sottolineato “che gli italiano non conoscono il loro inno nazionale, considerata una marcetta, un brano leggero, musicalmente e poeticamente banale. In realtà il nostro è fra gli inni più interessanti, ma è suonato male, anzi malissimo. Le esecuzioni sono troppo militaresche e rigide, lontano dalla versione originale che Michele Novaro compose nel 1847 e che aveva un andamento possente e dinamico. Era l’affresco di un popolo sottomesso che prende finalmente coscienza di sé e si scopre pronto a combattere per la propria libertà”.

Tra le curiosità, ha ricordato che Giuseppe Mazzini commissionò a Giuseppe Verdi un inno. Verdi scrisse l’inno e inviandolo a Mazzini, gli scrisse che poteva farne ciò che voleva. Fu un “fiasco verdiano” e l’inno sparì dalla memoria collettiva in poco tempo perché c’era un testo possente, quello di Goffredo Mameli e Michele Novaro che trovò l’alchimia giusta per la musica: la funzione dell’inno deve essere quella di aggregare una comunità attraverso un’idea. L’inno di Mameli e Novaro non è una marcetta, è un canto di popolo e Novaro s’immagina un invito a milioni di “straccioni” a prendere le armi e conquistare la libertà.

Alla fine tutti i presenti hanno intonato l’inno di Mameli, ma la prima esecuzione non è parsa troppo intonata al prof. D’Andrea che ha interrotto il canto. Ma la seconda esecuzione, da lui stesso ben diretta è stata perfetta, possente e dinamica, come avrebbero voluto Mameli e Novaro!

Un inno con un finale meraviglioso, lì c’è tutto il nostro Risorgimento. Insomma, il nostro, è l’inno più bello!

(Maurizio Mari, Segretario della Società Conservatrice del Capanno Garibaldi di Ravenna)